Il beta-carotene, precursore della vitamina A piuttosto diffuso in natura in determinati frutti ed ortaggi, è uno di quegli elementi spesso pubblicizzati per le sue proprietà benefiche. E’ innanzitutto una sostanza particolarmente efficace contro i radicali liberi (un antiossidante), ma agisce anche come fattore positivo per la vista grazie alla “trasformazione” organica in retinolo, protegge e favorisce la crescita di mucose e tessuti, è fondamentale per la salute di ossa ed epidermide, sostiene il metabolismo e gioca un ruolo importante anche nella funzione immunitaria.
Per queste ed altre ragioni sono stati creati persino integratori di beta-carotene (che si trasforma in Vitamina A solo in caso di effettivo bisogno), oltre che avviate piantagioni ingegnerizzate di mais e riso in Sud America, Asia ed Africa per fornire alle popolazioni autoctone pro-vitamina A in modo sostenibile.
Un nuovo studio sul carotenoide condotto da ricercatori della Ohio State University, tuttavia, getta ombre sulla totale salubrità delle diete ricche di beta-carotene. Dalla ricerca è infatti emerso che a grandi quantità dell’antiossidante si accompagnano grandi quantità di molecole dannose derivate dalla sostanza, molecole che paradossalmente anziché promuovere i vantaggi della vitamina A ne limitano l’efficacia.
“Questi composti -spiega Earl Harrison, docente di Nutrizione Umana presso la Ohio State University a capo del progetto- sono presenti negli alimenti in circostanze normali e vengono trovati comunemente nelle analisi del sangue. Rappresentano il ‘Lato Oscuro’ del beta-carotene. Essi possiedono infatti sicuramente alcune proprietà anti-vitamina A, che potrebbero sostanzialmente influenzare o interrompere il metabolismo e l’azione della vitamina. Dobbiamo studiare più approfonditamente i nostri risultati per averne la certezza”.
Non è la prima volta che il carotenoide finisce sul banco degli imputati e, secondo i ricercatori, i risultati da loro ottenuti spiegherebbero il motivo per cui una vecchia ricerca basata sull’abbondante somministrazione di beta-carotene si concluse in maniera “disastrosa”. In passato, infatti, furono somministrate dosi massicce di beta-carotene a gruppi di persone con alto rischio di sviluppare il cancro ai polmoni, come fumatori e lavoratori d’amianto. Lo scopo dell’indagine scientifica era quello di limitare il possibile sviluppo della malattia, ma l’esito ottenuto fu esattamente e tragicamente l’opposto. Un risultato che fece bloccare immediatamente le ricerche e che ha lasciato perplessi i ricercatori per tantissimi anni. “Oggi -spiega Earl Harrison- abbiamo trovato una spiegazione plausibile sul motivo per cui grandi quantità di beta-carotene causarono effetti imprevisti in quegli studi”.
Lo studioso, assieme al docente di Chimica Farmaceutica Curley Robert ed al professor Steven Schwartz del Dipartimento di Scienze e Tecnologie alimentari, tra i massimi esperti mondiali sui carotenoidi, hanno realizzato in laboratorio 11 molecole sintetiche derivate dal beta-carotene identiche a quelle naturali. Di queste, nei test almeno 5 si sono comportate come inibitrici della vitamina A, fungendo da antagoniste nell’interazione coi recettori che solitamente avviano la normale funzione nella vitamina A. In parole più semplici, competono con le molecole “buone” occupandone il posto e bloccandone le funzioni.
Harrison ha sottolineato che la maggiore produzione di queste molecole “anti-vitamina A” è legato allo stress ossidativo, a sua volta favorito dal fumo e dall’esposizione all’inquinamento atmosferico. La ricerca, finanziata dal National Institutes of Health e dall’Ohio Agricultural Research and Development Center, sarà amplificata con ulteriori approfondimenti e maggiori dettagli saranno pubblicati nel numero del 4 maggio del Journal of Biological Chemistry.