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I ROMANI ERANO MANGIATORI SFRENATI?

DA UNA CENA PANTAGRUELICA AD UNA CENA FRUGALE

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Gli inviti a cena, come per noi oggi, anche per i Romani erano un'occasione per stare con gli amici, conversare e abbandonarsi alla gioia ed al piacere di della convivialità e della salottuosità. Ma forse i romani davano un maggior valore persino del pur grade valore che diamo noi italiani moderni al piacere del mangiare tanto da farne un caratteristica e un vizio loro peculiare, come fa dire all'imperatore Adriano nella sua autobiografia apocrifa Marguerite Yourcenar.
Quella che segue è la lista di pietanze di una cena pantagruelica: per antipasto, ricci di mare, ostriche crude a volontà, ostriche giganti, tordi con asparagi, gallina grassa, datteri di mare, costate di capretto e di cinghiale, polenta di farro, conchiglie di murice, tettine di scrofa, testa di cinghiale, anitre, lesso di alzavole, lepri, panini piceni. Ma allora i Romani erano sfrenati mangiatori? In realtà le loro abitudini alimentari erano piuttosto sobrie e semplici. È vero però che non mancavano uomini decisi a trascorrere la giornata a tavola, ad ingozzarsi, pronti a ricorrere a emetici per liberarsi dal cibo eccessivo (vomunt ut edant, edunt ut vomant) e continuare a mangiare. Inoltre c'era anche chi non si poteva permettere una cena abbondante, ma si sedeva a capo di una tavola frugale per una cena molto povera di cibi. Una lettera di Plinio il giovane ci conferma proprio la frugalità di alcune cene. Caio Plinio saluta il suo Septicio Claro. Ahimè, tu prima prometti di venire a cena e poi non vieni! Ti farò causa e mi risarcirai fino all'ultimi centesimo la spesa e non sarà cosa da poco, perché erano state preparate lattughe per entrambi, tre lumache, due uova, semola impastata con miele e con neve (giacchè dovrai tener conto anche di questa, anzi soprattutto di questa, che si è sciolta nel piatto), olive, bietole, zucchine, cipolle e mille altre cose non meno appetitose. Avresti ascoltato un commediante o un lettore o un suonatore di cetra o, inimmaginabile mia libertà, tutti questi tre insieme. Ma tu hai preferito, a casa di non so chi, ostriche, vulve di scrofa, ricci di mare, danzatrici gaditane.

Non dico in che modo ma me la pagherai. L'hai fatta grossa: hai tolto una gioia forse a te stesso, certamente a me; in verità credo anche a te. Quanto avremmo scherzato, riso discusso! Tu puoi cenare a casa di molti altri più lautamente, ma in nessun luogo più allegramente, più liberamente, più spensieratamente. Insomma, prova; e se, dopo, non saprai rifiutare gli altri inviti, rinuncia sempre ai miei. Ti saluto. Diversa è la cena di Trimalcione, nota per una laboriosa preparazione gastronomica in cui sorprende la creatività dei piatti. In particolare l'alzata delle dodici costellazioni su ciascuna delle quali il cuoco aveva collocato il cibo più conveniente alla figura: sul toro un pezzo di carne bovina, sul gemelli testicoli e reni, sul leone un fico d'Africa, sullo scorpione l'omonimo pesciolino di mare. Il tutto seguito da un cinghiale arrosto con un berretto servito su un vassoio d'argento. Ci ha divertito sapere che, come noi, anche i Romani seguivano una moda per i cibi ed erano attratti dalle stravaganze del momento. Ad esempio nell'antica Roma si preferiva un pavone alla gallina per via delle piume che erano più belle. Come se questo avesse qualcosa a vedere con il sapore! Infatti Orazio nel serm., II, 2, così diceva: "Se uno oggi sentenzierà che l'arrosto di smerghi è squisito, i giovani romani, sempre pronti a dare retta alle stravaganze, gli obbediranno." In conclusione questa attività ha soddisfatto le nostre curiosità, suscitando in noi molte riflessioni e considerazioni. In particolare abbiamo ritrovato buffe e divertenti le abitudini alimentari dei Romani, ma abbiamo anche riscontrato diverse analogie con le nostre abitudini.

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