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Obesità

Paradossalmente, visto il grado di malnutrizione esistente sul pianeta, l’obesità costituisce oggi, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), uno dei problemi di salute pubblica più visibile e tuttavia ancora trascurato. Le malattie croniche, cui l’obesità contribuisce a volte in modo determinante, uccidono ogni anno quasi il 60 per cento dei 56.5 milioni di morti all’anno, e costituiscono il 45.9 per cento del carico totale mondiale di malattie. Si può dire, vista la prevalenza dell’obesità in molte parti del mondo, che ci si trova di fronte a una vera e propria epidemia globale di sovrappeso e obesità, una “globesità” come la definisce l’OMS, che si sta diffondendo in molti paesi e che può causare, in assenza di una azione immediata, problemi sanitari molto gravi per milioni di persone nei prossimi anni.

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Per questo, la OMS ha deciso di adottare una “Strategia globale sulla Dieta, Attività fisica e la Salute”, sotto il mandato dell’Assemblea Mondiale della Sanità del maggio 2002. La strategia completa, preparata dopo una ampia fase di consultazione delle organizzazioni internazionali, nazionali, i comitati di esperti e le associazioni pubbliche e private, verrà presentata all’Assemblea nel maggio 2004.

L’obesità preoccupa oggi soprattutto gli Stati Uniti che hanno elaborato numerosi studi e documenti, come le Linee Guida dell’NIH (National Institute of Health) su “Identificazione, Valutazione e Trattamento del sovrappeso e dell’obesità negli adulti”, per tentare un approccio radicale al problema. Anche il Ministero della Salute italiano dà molta importanza al problema, cui ha dedicato un Progetto-obiettivo 9 specifico all’interno del Piano Sanitario Nazionale 2002-2004, dal titolo “Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la comunicazione pubblica sulla salute”, per sensibilizzare la popolazione ad adottare un corretto modello alimentare e a migliorare il controllo sul proprio stato di salute.

L’indice di massa corporea

L’obesità è definita come un eccesso di grasso corporeo in relazione alla massa magra. Questo eccesso è problematico sia in termini della sua quantità assoluta, che della sua distribuzione in punti precisi del corpo. La distribuzione del grasso corporeo può essere effettuata con diversi metodi, dalla misura delle pieghe della pelle, al rapporto tra la circonferenza della vita e dei fianchi, o con tecniche più sofisticate come gli ultrasuoni, la tomografia computerizzata o la risonanza magnetica. La classificazione della popolazione in diverse classi di peso (sottopeso, normopeso, sovrappeso o, appunto, obeso) si fa in base all’uso di un indice, quello di massa corporea, che mette in relazione il peso all’altezza e che è considerato, pur con le dovute eccezioni, oggi il più rappresentativo della presenza di grasso corporeo in eccesso. L’indice di massa corporea (BMI = body mass index, secondo la definizione americana) è calcolato rapportando il peso corporeo all’altezza, secondo la formula:

BMI = peso (in kg)/quadrato dell’altezza (in metri).

La suddivisione della popolazione in diverse classi di massa corporea è fatta in relazione a quello che è considerato in termini medici un BMI desiderabile, cioè compatibile con la minore probabilità di rischi per la salute. Sviluppato, in prima istanza, dalle compagnie assicurative che volevano individuare alcuni valori indicativi di maggiori o minori rischi per la salute e per la stessa probabilità di vita, il BMI è oggi l’indice più accreditato dalle principali istituzioni sanitarie, dall’OMS, al NIH e ai CDC americani.

Le classi di peso indicate dal BMI sono le seguenti:

BMI < 18.5 sottopeso
18.5 – 24.9 normopeso
25.0 – 29.9 sovrappeso
> 30 obesità

Chiaramente, esistono delle differenze tra uomini e donne, e quindi i valori si modificano leggermente. Le donne tendono ad avere più grasso corporeo rispetto agli uomini a pari valori di BMI, e così la popolazione anziana rispetto a quella giovane. Inoltre, ad esempio, un fisico di tipo sportivo potrà avere un peso maggiore proprio grazie alla massa muscolare molto sviluppata, ma non rientrare per questo nella categoria sovrappeso o obesità. E’ chiaro che nella diagnosi di obesità, e soprattutto in tutte le successive terapie e trattamenti dietologici, è necessario evitare autodiagnosi ed è richiesta la consulenza di un medico specialista che può determinare non solo l’esistenza di una condizione di obesità, ma anche gli eventuali rischi probabili legati alle condizioni di salute del paziente.

Epidemiologia dell’obesità

Anche se ormai l’obesità interesse la maggior parte dei paesi del mondo, è sicuramente ancora oggi un problema particolarmente evidente negli Stati Uniti. Sono oltre quaranta milioni gli americani che possono essere definiti obesi, con un BMI> 30 e l’obesità è la prima causa di morte per almeno 300 mila morti all’anno. Secondo i CDC americani, tra gli adulti statunitensi di età compresa tra i 20 e i 74 anni, la prevalenza della condizione di sovrappeso è aumentata del 2 per cento dal 1980, passando dal 33 per cento al 35 per cento della popolazione nel 1999. Nello stesso arco di tempo, invece, l’obesità è quasi raddoppiata, passando dal 15 per cento al 27 per cento della popolazione, e raggiungendo il 31 per cento circa nel 2000. Il sistema sanitario nazionale statunitense si è posto come obiettivo quello di ridurre la prevalenza dell’obesità tra gli adulti a meno del 15 per cento entro il 2010. Per raggiungere questo obiettivo, gli Stati Uniti hanno messo in atto numerose campagne e predisposto diversi strumenti. Uno di questi è il Behavioral Risk Factor Surveillance System (BRFSS), nato nel 1984 dai CDC, che consiste in una rete che ad oggi coinvolge 15 stati americani, per realizzare un monitoraggio costante dei comportamenti a rischio nella popolazione americana e quindi fornire indicazioni all’NIH per mettere a punto le strategie più adatte per combattere i comportamenti scorretti. Nel 1998, l’NIH ha anche pubblicato un documento di Linee guida che revisionava i numerosi studi scientifici compiuti sull’obesità e proponeva una serie di raccomandazioni. Dal 2000, la Division of Nutrition and Physical Activity dei CDC ha avviato un programma di supporto ai dipartimenti di salute per sviluppare interventi mirati e campagne di informazione sui comportamenti nutrizionali e di attività fisica utili alla prevenzione di condizioni croniche, specialmente l’obesità. Per dare ulteriori informazioni è stata pubblicata recentemente la “Resource Guide for Nutrition and Physical Activity Interventions to Prevent Obesity and Other Chronic Diseases” dei CDC, con una serie di informazioni utili sia agli operatori sanitari che al pubblico.
Nel suo Rapporto sulla salute in Europa del 2002, l’ufficio regionale Europeo dell’OMS definisce l’obesità come una “epidemia estesa a tutta la Regione europea”. Circa la metà della popolazione adulta è sovrappeso e il 20-30 per cento degli individui, in molti paesi, è definibile come clinicamente obeso. La Conferenza Europea sull’obesità di Copenaghen (11-12 settembre 2002) ha evidenziato che l’incidenza dell’obesità è aumentata in Europa del 10-50 per cento nell’ultima decade a seconda del paese considerato, e che circa il 4 per cento di tutti i bambini europei è affetto da obesità. L’incidenza di questa condizione sui costi globali sanitari è del 2-8 per cento ed è necessario mettere in atto urgenti campagne di informazione e di educazione per informare la popolazione europea sui rischi legati al sovrappeso e all’obesità. In Italia, nel periodo 1994-1999, l’Istat ha registrato un aumento della popolazione sovrappeso (16 milioni di italiani) con un aumento drastico dell’obesità del 25 per cento.

Obesità infantile

Un problema particolarmente grave è quello dell’insorgenza dell’obesità tra i bambini e gli adolescenti. Nell’ultima decade infatti, il numero di bambini obesi è aumentato e l’eccesso di peso è diventato uno dei principali problemi di salute per i bambini e gli adolescenti. Anche se non c’è sempre accordo tra gli studi epidemiologici sulla stessa definizione di obesità per i bambini, molti studi hanno esaminato la prevalenza di questa condizione nelle popolazioni. Negli ultimi 25 anni, secondo uno studio pubblicato su Lancet il 10 agosto 2002, c’è stato un incremento dalle 2.3 alle 3.3 volte negli Stati Uniti, da 2.0 a 2.8 volte in Inghilterra e di circa 3.9 volte in Egitto negli ultimi 18 anni. L’epidemia interessa diversi gruppi etnici, ma sembra essere prevalente nelle classi sociali più povere, dove le diete sono più carenti e sbilanciate. Negli USA ad esempio, la prevalenza è cresciuta del doppio tra le minoranze etniche rispetto alla popolazione bianca. Allo stesso tempo, l’obesità infantile è più caratteristica delle elite ricche dei paesi poveri, dove questa condizione convive con la malnutrizione delle classi sociali svantaggiate.

L’obesità infantile è una malattia complessa, che comporta numerosi rischi per la salute, da malattie cardiovascolari ad altre condizioni critiche che portano a morte prematura. Il diabete tipo 2, una volta sconosciuto tra gli adolescenti, è diventato oggi assai più frequente così come malattie legate al colesterolo troppo alto o all’ipertensione.

In Italia, secondo i dati pubblicati dall’ISS e dall’ISTAT, sono circa il 4 per cento dei bambini a essere obesi e il 20 per cento in sovrappeso. Il problema interessa soprattutto la fascia di età 6-13 anni e i maschi rispetto alle femmine. Questi dati sono i primi risultati dell’Indagine Multiscopo del 2000, svolta dall’Istat, per riportare lo stato dell’arte del sovrappeso e dell’obesità infantile nel nostro paese. La regione con più alto numero di bambini obesi è la Campania (36 per cento) mentre il numero più basso è in Valle d’Aosta (14,3 per cento). Osservando i dati, si nota come il problema dell’obesità infantile peggiori scendendo dal nord al sud del Paese. Riguardo ai fattori di rischio, per la fascia d’età compresa tra i 6 e i 17 anni, sono stati presi in considerazione la familiarità (sia nella sua componente genetica che in quella ambientale), la sedentarietà come stile di vita ed infine lo status socio–economico, ed in particolare il livello di istruzione della madre ed il giudizio sulle risorse economiche della famiglia.
Dai dati è emerso che avere uno o più genitori con eccesso di peso comporta un maggior rischio per bambini e adolescenti di avere lo stesso problema e quando entrambi i genitori sono in sovrappeso o obesi, la percentuale di ragazzi che presentano lo stesso disturbo è di circa il 34 per cento, mentre scende al 18 per cento se nessuno dei due genitori è in eccesso di peso. Per quanto riguarda gli stili di vita, una delle maggiori cause di obesità e sovrappeso infantile è la sedentarietà, ancora più importante che l’eccesso di cibo. Dal punto di vista socio-economico, il rischio di obesità infantile è superiore nel caso in cui la madre ha la licenza elementare o nessun titolo di studio (25,9 per cento) rispetto a quello in cui il titolo di studio della genitrice è una laurea o un diploma di scuola media superiore (22,5 per cento).

Rischi per la salute e possibili trattamenti

Secondo quanto dichiarato nelle Linee Guida del National Institute of Health (NIH) americano per il trattamento dell’Obesità e del Sovrappeso negli adulti, un BMI superiore a 25 espone a numerosi rischi per la salute. Con l’aumento del livello di obesità, aumentano anche le probabilità di sviluppare condizioni critiche di salute, che vanno da una serie di malattie fino alla morte prematura, tutte condizioni cui l’obesità contribuisce anche se non ne è necessariamente il fattore determinante.

Se la persona tende a essere obesa fin dall’età infantile, può presentare una serie di conseguenze precoci che sono di tipo respiratorio (affaticabilità, apnea notturna), articolare, dovute al carico meccanico (varismo/valgismo degli arti inferiori, ossia gambe ad arco o ad “X”, dolori articolari, mobilità ridotta, piedi piatti), disturbi dell'apparato digerente e di carattere psicologico. I bambini sovrappeso tendono a sviluppare un rapporto difficile con il proprio corpo e con gli altri bambini, con conseguente isolamento che spesso si traduce in ulteriori abitudini sedentarie e quindi peggioramento della condizione di salute. Se un adulto ha avuto una tendenza all’obesità in età infantile è predisposto più di altri a essere obeso anche in fase adulta. In questo caso le patologie che si sviluppano sono di natura cardiovascolare (ipertensione, malattie coronarie, tendenza all’infarto), muscoloscheletrica, respiratoria (apnea nel sonno e problemi respiratori). Inoltre, ci sono maggiori probabilità che si sviluppino condizioni di alterato metabolismo, come il diabete mellito (tipo 2, non insulina dipendente) o l’ipercolesterolemia, l’alterazione delle funzioni riproduttive fino allo sviluppo di tumori (del tratto enterico, del colon, della prostata e del seno). A livello psicologico, la condizione di obesità può stravolgere completamente la vita dei soggetti che ne sono affetti, isolandoli dagli altri, rendendo loro più difficile qualunque tipo di socialità.

Se non ci sono altre ragioni specifiche, l’obesità è causata da comportamenti e abitudini alimentari e di vita scorrette. L’alimentazione è fortemente influenzata dalle condizioni sociali, economiche, culturali in cui si trova a vivere l’individuo ed è per questo che una delle azioni più importanti per contrastare comportamenti scorretti è quella di una educazione e formazione delle persone affinché modifichino le loro abitudini alimentari quando queste sono scorrette, e adottino stili di vita più sani.

Il trattamento di base dell’obesità consiste essenzialmente nella riduzione del peso corporeo, sotto stretto controllo medico e spesso presso centri specializzati, e nel mantenimento di un peso più basso attraverso un miglioramento dei propri comportamenti alimentari. Oltre a diversi tipi di diete studiate anche sui casi specifici, i trattamenti vedono spesso la combinazione con terapie di attività fisica e terapie comportamentali. La vita nelle città è diventata molto più sedentaria e moltissime persone non praticano più alcun tipo di attività fisica. Ad esempio, negli Stati Uniti, ormai il 40 per cento degli adulti non svolge alcun genere di attività fisica, e solo un terzo degli adulti fa almeno 30 minuti di moto quotidiano, la quantità raccomandata.
Inoltre, le Linee Guida americane indicano anche l’efficacia comprovata di alcuni trattamenti farmacologici, in combinazione con le suddette terapie, consistenti nell’assunzione di dexfenfluramina, sibutramina, o di fentermina/fenfluramina per periodi di 6 mesi – 1 anno. L’utilizzo di interventi chirurgici è invece raccomandato solo in casi estremi, per quei pazienti che presentano obesità acuta (con BMI> 35-40) e altre condizioni patologiche ad essa associate, e quindi sono ad alto rischio di mortalità, per i quali gli altri trattamenti si sono dimostrati inefficaci.

Si sta studiando anche l’ipotesi che l’obesità possa essere anche il risultato di fattori di rischio genetico. Secondo alcuni studi pubblicati dai CDC però, non si tratta, tranne in rari casi, di condizioni derivate dalla mutazione di un singolo gene. Piuttosto, è probabile che esistano fattori genetici combinati che favoriscano o meno la capacità di perdere peso e di mantenerlo basso e che quindi influenzino il successo delle terapie e dei trattamenti delle condizioni di obesità.

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